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Un'amicizia per tutti.
Gruppo "Amici di Giovanni"

INTERVISTA DI RADIO EMMANUEL a Claudio Caggioni, 14 Maggio 2004 INTERVISTATORE: parliamo delle sfide che entrano in famiglia, non vorrei parlare esattamente di problemi, ma di sfide in una famiglia che accoglie un figlio con handicap. Il gruppo Amici di Giovanni oggi è rappresentato da Claudio Caggioni, referente per Bergamo dell’Associazione (....) Che cosa vuole dire questo nome signor Caggioni “Famiglie per l’Accoglienza - Amici di Giovanni”? CLAUDIO CAGGIONI: vuole dire che una circostanza un po’ particolare ci ha fatto scoprire l'utilità di coltivare un’amicizia che ci è stata di grande conforto, di grande supporto con altre famiglie che vivono la stessa circostanza. Per cui il nome caratterizza anche il modo di condurre questa esperienza che è fondamentalmente un’esperienza di amicizia. INTERVISTATORE: chi è Giovanni? CLAUDIO CAGGIONI: Giovanni è uno dei miei sei figli, l’ultimo, nato nel ‘97, quindi adesso ha sei anni e ha la sindrome di Down. L’ episodio è sicuramente un fatto che scuote la famiglia dove avviene e mette i familiari in una sorta di sfida come diceva lei all’ inizio. I primi momenti sono particolarmente duri perché si fa i conti con una realtà differente da quella che uno si immaginava che fosse. Da questo punto di vista il fare i conti con una realtà che non è fatta dall’ uomo è un’esperienza, credo, comune a tutti e in questo senso il gruppo “Gli amici di Giovanni” tende a proporre questa amicizia - e poi cercheremo di spiegare il perché - che ha al suo interno una sorta di ricchezza. Il gruppo tende a proporre questa amicizia non necessariamente a chi vive un’esperienza di persona disabile all’ interno della famiglia, ma a chi vive un’esperienza di contatto con la realtà, a chi vuole fare un’esperienza di contatto con la realtà più pieno, più vero, e quindi, in sostanza l’amicizia è proposta a tutti. Io sono contento che nel tentare di identificare il gruppo compaia questo elemento centrale che è la volontà di condividere un’amicizia che aiuti un rapporto con la realtà più vero. INTERVISTATORE: un obbiettivo, potremmo dire, semplice, ma poi non così semplice da mettere in pratica, e senz’ altro emozionante, insomma, per quello che prospetta. (...) (...) INTERVISTATORE: Cosa ha comportato l’arrivo di Giovanni in famiglia ma soprattutto cosa è scattato? CLAUDIO CAGGIONI: Inizialmente si è molto disorientati. Soprattutto il periodo iniziale di questa esperienza penso che si avvantaggi moltissimo della presenza accanto alla famiglia di altre famiglie che testimoniavano che è un’esperienza faticosa ma che è una esperienza che si può vivere. Il disorientamento penso che sia particolarmente accentuato da una società intorno che pensa prima ai problemi e poi arriva a dire che dietro a questi problemi c’è anche una persona. La dinamica va proprio ribaltata. La capacità della società che noi abbiamo intorno di considerare tutti come delle persone prima da controllare quanto producono, quanto stanno nei ranghi e così via, è una capacità che bisogna sperare che possa migliorare. La nostra esperienza, quindi, è stata quella di trovare una sorta di certezza che questa fosse un’esperienza che si poteva vivere non tanto dentro dei ragionamenti ma dentro all’esperienza di altri che avevano dei figli disabili che avevano 10 anni ,15 anni, 20 anni e che testimoniavano con la loro presenza come in fondo un evento di questo genere, che capita in una famiglia, sia un evento sì faticoso da vivere ma non impossibile da vivere. Diciamo che per mettere, se vogliamo, in risalto l’atteggiamento della società ricordiamo una abitudine sempre più frequente a chiedere alle donne in gravidanza di sottoporsi a un esame dell’amniocentesi che verifica la presenza o meno di malattie genetiche; ciò mette in risalto la posizione della società perché nel caso l’esame dicesse di una presenza di un bambino con la sindrome di down non è che si possano applicare delle cure, ed è evidente che la proposta delle società è quella di non iniziare questa esperienza è quella di non fare arrivare alla nascita questo bambino quindi, in questo caso, ponendo proprio prima della persona quello che sarebbe un’esperienza faticosa. Secondo me se la società avesse un atteggiamento più rispettoso della dignità di una persona, anche di una persona con tutti i suoi limiti, questo evento in una famiglia avrebbe delle ripercussioni meno drammatiche. Insomma mi aveva particolarmente colpito un episodio di un paio di mesi fa quando un padre di 40 anni di Frosinone credo aveva assistito alla nascita di un figlio con la sindrome di down e la sua prima reazione è stata quella di chiedere la separazione dalla moglie accusandola anche di non avere fatto di tutto perché questo potesse accadere. Sono reazioni che secondo me, al di là di un giudizio di quello che può avere fatto singolarmente una persona che non mi spetta che non voglio assolutamente dare, però citavo questo esempio per dire di come la pressione cui siamo posti attraverso un’immagine della persona che la società ci propone ha degli effetti molto forti. E’ come se non fossimo più capaci di considerare che la realtà non la facciamo noi. E come se l’uomo si prendesse la briga di manipolare la realtà riconducendola ad un suo progetto o a un progetto della società e quindi eliminando quello che in questo progetto, in questa immagine che l’uomo si fa di come dovrebbero essere le cose eliminando tutto quello che non ci sta. E’ evidente che se anche si potesse azzerare la nascita di bambini con la sindrome di down, gli incidenti ed i casi della vita portano poi una persona sanissima a condurre una parte della sua vita in condizioni in cui deve fare i conti con dei limiti molto grossi. Quindi questo tentativo dell’uomo di impadronirsi della realtà è un tentativo che ha come esito la delusione. Mi sembra che un episodio come questo ponga invece l’accento sulla necessità di scegliere tra un bivio sul quale si è posti a porre la propria posizione. Uno può pensar che il Padreterno nel momento che avveniva la fusione dei cromosomi si sia distratto e che avrebbe potuto stare più attento e che se il Padreterno fossi stato io certamente non avrei sbagliato altrimenti si può pensare che, benché incomprensibile, benché razionalmente sia difficile catalogare i motivi della presenza di queste persone all’interno della nostra società nel nostro mondo, benché incomprensibile, si può pensare che questa sia stata proprio un’espressione di una volontà del Creatore. Ripeto incomprensibile ma potrebbe avere la pretesa di comprendere tutto il creato chi si ponesse allo stesso livello del Creatore. Quindi, mentre da una parte c’è un disorientamento dovuto a un atteggiamento della società non certo favorevole, dall’altra parte considerare questa esperienza vivibile pone delle domande, alla famiglia che lo vive in prima persona, sicuramente molto serie e questo in fondo può essere considerato un aspetto favorevole, un aspetto positivo della presenza di queste persone. Costringere l’uomo a fare i conti con la sua volontà di ammettere che è all’interno di un disegno che non ha composto lui benché misterioso e incomprensibile. Poi per parte mia devo aggiungere, che sono cattolico e quindi mi urge sempre vivere queste esperienze nella continua ricerca e necessità di dare risposta a tale domanda: “E’ vero che il Creatore ha un disegno buono sul tuo destino?” E la nostra risposta grazie all’aiuto di altre famiglie è una risposta positiva. (...) INTERVISTATORE: signor Caggioni questa amicizia tra famiglie con ragazzi con handicap vi ha veramente così cambiati al punto di pensare ad una Associazione e ad un progetto all’ interno della Associazione. Vogliamo entrare, allora, all’ interno di questo progetto? CLAUDIO CAGGIONI: sì, anche perché tutte le cose che si dicevano, magari si corre il rischio di pensarle come elaborazioni teoriche: in realtà sono il frutto di incontri quotidiani. Volevo raccontare di una esperienza molto positiva che abbiamo fatto un mese e mezzo fa, trascorrendo tre giorni sulla neve a S. Simone, ed eravamo in una settantina di persone. Perché il nostro stare insieme non è caratterizzato da una tristezza, non so come spiegarmi, che incombe sulle nostre giornate. ’ uno stare insieme quando la presenza di persone con determinati limiti viene, non solo accettata, ma abbracciata - che è un gradino in più – e quando viene abbracciata è un’esperienza faticosa, ma con degli aspetti molto positivi. Il contenuto di questa vacanza non è stata una serie di ragionamenti cercando di giustificare situazioni difficili, ma è stata proprio la vita insieme di un gruppo di una trentina di famiglie che avevano da condividere una circostanza ma che tutto sommato vivevano positivamente questa esperienza di vacanza. INTERVISTATORE: il vostro slogan è proprio la sfida dell’handicap nei limiti, un abbraccio senza limiti e qui si capisce bene. CLAUDIO CAGGIONI: Sì, credo che sintetizzi quello che volevo dire e vorrei anche aggiungere che ci è sembrato particolarmente positivo che a questa vacanza partecipassero due famiglie che non avevano figli disabili, perché credo che se si possa sperare in una società che abbia più attenzione per queste persone prima ancora che ai loro limiti. Tale speranza può crescere per la condivisione di situazioni che se rimangono frutto dell’immaginazione, cioè se uno continua a dire: “Ma ti immagini come sarebbe difficile vivere con un disabile” finisce per crearsi una sorta di realtà per conto suo che poi non corrisponde al vero, perché vivere con queste persone, lo stargli a fianco non è fatto soltanto di fatica, è fatto anche di momenti belli, di momenti positivi. Penso che noi abbiamo l’obbligo di testimoniare questi aspetti per far sì che l’orientamento generale cambi e consideri non solo un problema la presenza di queste persone ma soprattutto un richiamo, una risorse che ci obbliga ad essere un po’ più seri nei confronti della nostra considerazione che abbiamo della realtà. Proprio questo tentativo di voler rendere il più possibile visibile questa testimonianza ha trovato un alveo di aiuto in una posizione della Regione Lombardia che consente a delle associazioni famigliari di proporre dei progetti, sostenendoli anche dal punto di vista finanziario. Ci siamo cimentati anche sotto la spinta dell’Associazione Famiglie per l’Accoglienza che credo abbia chiaro la necessità di rendere visibili queste esperienze, ci siamo cimentati nella stesura di un progetto che ha l’obbiettivo di poter trasmettere e allargare il più possibile la presenza della ricchezza di un’esperienza come questa. Il tentativo di questo progetto è quello di far sì che più gente possa essere al corrente del fatto che un episodio così non ammazza la famiglia in cui capita. Abbiamo trovato alcuni punti che ci sono sembrati importanti per raggiungere questo obiettivo. Abbiamo introdotto in questo progetto una serie di tre incontri, come quello che ci sarà il prossimo il 29 maggio alle ore 15 presso la Casa del Giovane dal titolo “Perché a ogni persona sia riconosciuta la capacità di pensiero”. Questo titolo può sembrare scontato ma in realtà tutte le volte che si ha a che fare con il lavoro, con la scuola, nel rapporto con le istituzioni capita molto spesso di vedere che chi non vive direttamente questa esperienza è portato a considerare incapace di pensare chi ha dei problemi di disabilità mentale. Cerco di esprimermi come posso, ma credo che spesso uno dei motivi per cui una persona non raggiunge certi risultati sia anche il fatto che nessuno si aspetta che lui raggiunga questi risultati. Questa è una responsabilità che chi sta intorno a queste persone deve imparare ad assumersi in modo più cosciente. Per cui l’obiettivo di questo incontro è: cosa significa riconoscere la capacità di pensiero ad ogni persona? Sottolineo ancora come quest’incontro in particolare non può essere considerato dedicato solo a chi vive in famiglia il problema. Io credo che sia un’occasione per tutti di far sì che la società possa prendere un atteggiamento diverso. INTERVISTATORE: un’occasione di crescita aperta a tutti… CLAUDIO CAGGIONI: esatto, e l’invito è fatto a tutti. INTERVISTATORE: uno dei punti del vostro progetto è quello degli incontri per approfondire il cammino dell’handicap. Un altro punto importante è lo sportello. Ci vuole spiegare cosa è? CLAUDIO CAGGIONI: È un altro aspetto che abbiamo raccolto dalla nostra esperienza. A chi ha un bambino disabile capita molto spesso di trattenere rapporti con operatori sanitari, con operatori della scuola e nell’esperienza del nostro gruppo ci sono state alcune persone, specialisti competenti nella loro materia, mi riferisco ad esempio a neuropsichiatri una delle quali terrà l’incontro del 29. Ci sono state alcune persone che, secondo la nostra esperienza, hanno avuto maggiori capacità di collocare gli strumenti tecnici dentro uno sguardo verso queste persone che potenzia, che da ragione a questi strumenti tecnici; perché tutte le capacità della persona che si ha di fronte possano trovare la massima possibilità di espressione. La presenza di questo sportello, che si può raggiungere telefonando alla scuola Imiberg, rende possibile un incontro personale di chi volesse con questi operatori che non sono più tecnicamente preparati di altri ma che noi abbiamo sperimentato essere capaci di coniugare la parte tecnica del problema con una parte più ampia senza la quale la tecnica rischia di naufragare miseramente. Vorrei ricordare un terzo punto di questo progetto che è l’allestimento del sito internet www.amicidigiovanni.it. Per esempio su questo sito si può trovare il numero di telefono per entrare in contatto con lo sportello. Abbiamo, quindi, cercato di utilizzare positivamente la disponibilità della Regione per allestire un progetto che comprendesse un aiuto alle famiglie che hanno qualche disabile e non necessariamente i disabili per i disabili. Dobbiamo dire che il colloquio con questi specialisti è gran parte sostenuto dal punto di vista finanziario dalla Regione con questo progetto e quindi mi sembra che abbia potuto trovare una maggiore compiutezza il nostro obiettivo di comunicare ad altri la ricchezza di questa esperienza che stiamo portando avanti. INTERVISTATORE: Perciò uno sportello aperto veramente a tutti coloro che abbiamo delle espressioni, dei dubbi di disagio relativamente a problemi sia con la disabilità, sia con altri problemi legati alla crescita dei figli, presso la Scuola Imiberg, Istituto Maria Immacolata, via S. Lucia,14 Bergamo (zona Ospedali Riuniti), in questa bellissima nuova sede. Ricordiamo il numero telefonico (...) per accedere allo sportello di Giovanni. Quindi, abbiamo parlato, di • un progetto che prevede uno sportello interno per dei colloqui con professionisti, aperto non solo alle famiglie che hanno al loro interno una realtà di disabilità, ma a tutti coloro che presentano qualche problema • un sito web per agevolare la comunicazione tra le famiglie, la società che vive una situazione “normale” che vuole capire di handicap e vuole venire incontro, soprattutto con la mentalità, a questa realtà dell’handicap • una serie di incontri, (…). (...) CLAUDIO CAGGIONI: Volevo ringraziarvi per lo spazio che ci avete dedicato, perché sono convinto che sia un contributo a fare sì che la nostra società diventi un pochino migliore. INTERVISTATORE: grazie a voi che ci aiutate a crescere e grazie a chi ci ha ascoltato.

Lettera di una madre

Lettera di Francesco Caggioni a Tracce N. 10/1997 

 

Famiglia, compagnia vocazionale 

Vi mando questa lettera che mia mamma mi ha scritto a Vienna, dove sono a studiare, per annunciarmi la nascita di un fratellino molto speciale. Carissimo Francesco, è nato Giovanni! Il parto è stato un po' travagliato, ma il Signore ha voluto che tutto procedesse come già da tempo aveva pensato. Io comincio a stare bene, ma il Signore per noi ha riservato qualcosa di particolare che inizialmente non siamo stati capaci di cogliere. Come ha ragione il Gius quando dice che il mondo siamo noi, noi che pensiamo di essere esenti, di essere fuori, di essere già liberi. Il Signore così ci ha messo alla prova e attraverso un iniziale dolore (diciamo pure vissuto con grande dramma) ci ha accompagnato a guardare quello che ci sta accadendo con occhi diversi. Giovanni è differente dagli altri, ha un cromosoma in più, è un bimbo Down. È ancora più speciale perché, a differenza di tanti altri, lo ha nascosto. Non ha le solite caratteristiche, è proprio un bel bambino ed ha voluto così darci il tempo di capire. Solo dopo gli accertamenti, che si sono conclusi oggi, abbiamo questa certezza e non potevo e non voglio aspettare che tu torni per dirtelo perché dopo tanto pianto ho compreso che ci è stato donato qualche cosa di più grande, un richiamo chiaro ad andare al fondo di noi, di chi siamo e a chi apparteniamo. Sai, pensandoci bene, il dolore non era e non è perché così il bene è minore. Giovanni è il nostro bambino che abbiamo voluto fin dal primo giorno che abbiamo saputo che c'era, consapevoli dei rischi che correvamo, sia fisici per me che problematici per il nascituro. Bene, il dolore era e forse ancora è per le obiezioni del mondo, per il giudizio del mondo. Sono andata ancora al fondo per capire meglio ed ho scoperto che il mondo è il mio limite. Sono io che non sono libera, che non credo ancora che l'unica strada è Lui, che guardo le cose con gli occhi del mondo. Dentro questa fatica (lo scontrarsi con il proprio limite) abbiamo avuto degli amici che ci hanno aiutato. Patrizia, la ginecologa, ci ha letteralmente accompagnati a comprendere che quello che sta accadendo è un bene per noi, è qualche cosa di speciale. Non per modo di dire. Ci diceva che il Signore non poteva scegliere per Giovanni un giardino migliore. Giovanni si ritrova in una grande famiglia, con tanti fratelli che lo aiuteranno e stimoleranno e i suoi fratelloni, guardandolo più felice degli altri bambini, più affettuoso, più coccolone, più semplice insomma, saranno continuamente richiamati a percorrere l'unica vera strada. Noi, la vostra mamma e il vostro papà, stiamo già raccogliendo le grazie che attraverso Giovanni il Signore ci dà. Abbiamo ricevuto una grande sferzata che non ha fatto altro che aumentare l'unità. Il bene che ci vogliamo ora è più grande perché Giovanni ha aumentato la nostra coscienza e noi, in qualsiasi momento, non dobbiamo dire nient'altro che sì. Così per la seconda volta ci viene dato un figlio diverso, prima Simona e poi Giovanni, e tutto questo per la sua gloria e per la nostra felicità. Ora ci domandiamo: «Sapremo percorrere questa strada?». Dovremo sicuramente aiutarci. Siamo tanti ed abbiamo avuto la grazia di essere stati tutti scelti, il Signore ci ha prediletto, dobbiamo richiamarci l'uno con l'altro alla vera unità e sarà necessario pregare perché la vita non è altro che preghiera: tutto deve diventare preghiera, fino al punto che anche quando ci guarderemo lo sguardo diventerà preghiera. Sicuramente i nostri amici della Fraternità e di Scuola di comunità ci aiuteranno a camminare sull'unica strada percorribile. Una bella notizia: Giovanni non ha nessuna malformazione cardiaca. Prega e chiedi preghiere a tutti perché se l'unica strada è la sua, l'unico vero modo di aiutarci a vivere è pregare. Ciao un bacione, Mamma

Giovanni e i suoi amici

Dal sito web di “Famiglie per l'accoglienza”

Il Gruppo Amici di Giovanni è entrato nel 2001 a far parte di Famiglie per l’Accoglienza, portando la grande ricchezza di una più profonda e consapevole coscienza della natura dell’accoglienza: una totale dedizione all’altro, così come esso è. Nel  gruppo ci si aiuta nel concreto dell’amicizia a condividere il lavoro quotidiano che sostiene l’accoglienza di un figlio, e aiuta tutti a comprendere più a fondo il senso dell’accoglienza generatrice di un figlio, sia esso malato o sano, ancora piccolo o già grande. “Ritrovarsi a 45 anni a ricominciare da capo non è facile. Ci è chiesto uno sguardo diverso, da domandare a Dio, su di noi e sui nostri figli”, dice Tiziana. Suo figlio Giovanni è nato nel 1997, con la sindrome di Down. Lei e suo marito, aiutati dal medico che ne ha accompagnato la nascita e che ha vissuto un’esperienza analoga, incontrano altre famiglie con figli disabili e insieme cercano un ambito in cui aiutarsi a capire il motivo adeguato per vivere con speranza questa circostanza. Non è sufficiente un approccio tecnico al problema dell’ handicap. Così sono nati i primi gruppi degli “Amici di Giovanni”. “L’ignoto genera paura. Il mistero genera stupore”: in queste due frasi è racchiuso l’aiuto che questi gruppi si danno per il cammino comune tra famiglie con figli disabili. Non è facile non cedere alla paura, quando si pensa al domani del figlio, alle difficoltà che incontrerà in questa società che ostenta in ogni occasione il mito dell’uomo perfetto, sempre vincente. E’ sempre stata compagna dei ritrovi degli Amici di Giovanni la voglia di un giudizio nuovo sulla paternità e maternità , di uno sguardo che aiuti ad abbracciare umanamente, con la ricchezza e povertà di ognuno, il compito voluto da Dio per noi. Così si può intuire che la presenza di questi figli non è dovuta ad una distrazione del Creatore: Colui che ha creato tutte le cose ha voluto la loro presenza, vuole bene a questi figli così come sono: allora, passo dopo passo, la paura lascia il posto allo stupore, alla contemplazione di un Mistero più grande.

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