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Celebrare la vita

«Senza la consapevolezza della vulnerabilità e della mortalità, non c’è spazio per la felicità – apprezzare il momento presente – né per la responsabilità personale».

 

Arnaldo Minetti

Trent’anni fa, quando cancro era una parola da sussurrare, quasi una colpa, Arnaldo e la moglie Kika Mamoli – tanti con loro – si ribellarono a una morte inevitabilmente invisibile e dolorosa. A Bergamo regalarono – letteralmente – il primo hospice pubblico in Italia, in Borgo Palazzo.

Le cure palliative sono il paradigma di come vorremmo essere guardati.

Palliativo nella società dell’efficienza è come dire inutile. Non serve, ma giusto per non stare fermi…
“Pallium” viene da pallio, il mantello che nella tradizione San Martino taglia per donarne metà a chi ha freddo. L’inutile diventa gratuito: ti proteggo – dal dolore, dalla solitudine, allevio quel che è possibile – perché tu vali.


Chi non vorrebbe essere guardato così?

«Se non puoi aggiungere giorni alla vita, aggiungi vita ai giorni».

 

Cicely Saunders, fondatrice del primo hospice

Negli hospice le persone vivono. Non il vuoto, o un inesorabile conto alla rovescia, ma giorni, mesi importanti: feste di laurea, matrimoni, riconciliazioni, spaghettate a mezzanotte e carezze per i cani, compagni di una vita. Restano le passioni e le relazioni autentiche, se ne creano di nuove, con operatori e volontari.

«In hospice si vive come si vuole, con chi si vuole. I nostri volontari soprattutto stanno
accanto, anche in silenzio, sempre un passo indietro. Oggi non sappiamo più stare in
silenzio. Se ce lo concediamo e ascoltiamo l’altro, possono nascere tantissime cose.
Insieme si gode dei piccoli attimi, che vuol dire magari concedersi cinque minuti di sole, di caldo, di tepore dietro la finestra».

 

Aurora, Associazione Cure Palliative

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