Il tempo del malato.
Dialogo fra tre medici: dott.ssa Renata Rota, dott. Claudio Bulla e dott. Davide Soldini
Un'esperienza di comunicazione con le persone è un grande dono non solo per chi riceve una cura, ma anche per il medico. Quando ho iniziato a lavorare c'era il tempo di sedersi sul letto di un paziente e attaccare discorso. Mi ricordo di tante amicizie nate con dei pazienti, che a volte rivedevi o che magari non rivedevi più, però era una modo di concepire i rapporti umani che oggi si sta perdendo, e questo è un “di meno” a livello umano tra te e le persone. Ricordo una signora appassionata di ricamo. La figlia le portava degli stracci da orlare e lei mi diceva: "A me piace ricamare, ma mia figlia mi porta cose che non servono a nessuno, solo per tenermi impegnata". Mia figlia doveva fare la prima comunione e io avevo dei portaconfetti a cui dovevo fare l'orlo a giorno, allora mi è venuta un'idea e le ho chiesto: "Signora, se le portassi qui da fare i sacchetti della comunione di mia figlia?" E me li ha ricamati lei ed era felicissima di farlo. Queste cose adesso un medico non ha più il tempo di farle”. Renata
“Sedersi sul letto del malato e stare con lui è già una cura. C’è una frase che lo dice: “Se basta una parola, non fare un discorso. Se basta un gesto, non dire una parola. Se basta uno sguardo, tralascia il gesto. Se basta il silenzio, tralascia anche lo sguardo”. Il nostro tempo è diverso dal tempo del malato. Il malato ha bisogno di più tempo, non devi avere fretta, devi stare al suo tempo, fatto di silenzi e di ascolto. Il medico spesso non ha tempo, il volontario invece ce la fa, perché lui si prende quel tempo proprio per questo”. Claudio
Recentemente un signore di quarant’anni è stato ricoverato per un tumore con una prognosi infausta a breve termine. Dopo uno dei colloqui con me e con il medico responsabile del reparto, la moglie mi ha bloccato nel corridoio per rifarmi delle domande che ci aveva già fatto. Capita spesso che vengano rifatte le stesse domande, ma penso che anche questo sia da imparare: c’è bisogno di tempo e di ripetizione affinché le parole penetrino; invece, spesso noi medici ci limitiamo a enunciare delle “sentenze” senza dare il tempo e lo spazio perché queste vengano capite e accolte dalla persona che ci sta ascoltando. La moglie, dicevo, mi ha chiesto cosa poter fare per suo marito. Mi è venuto da risponderle che il compito che aveva adesso era di stargli vicino e che questo era un tempo prezioso. Il giorno dopo mi ha detto che quelle parole l’avevano aiutata e nei giorni successivi ha portato i loro figli in ospedale a trovare il papà e ha appeso nella sua stanza i disegni che gli avevano portato. Questo incontro mi ha fatto capire che il compito del medico deve essere quello di facilitare, a volte solo con una parola o un consiglio, quei rapporti che costituiscono il tessuto di una persona. Davide