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"Il loro dolore e' il mio".
Dialogo fra Serenella Colombo, coordinatrice infermieristica
e Claudio Bulla, medico

Serenella:

All'inizio della lezione per le infermiere io faccio scrivere per cinque minuti quello che hanno trattenuto di positivo del periodo del Covid o quello che invece vogliono lasciare andare, ed è venuta fuori questa frase: "In medicina si vince o si perde, ma se ti prendi cura di qualcuno vinci sempre". In quel periodo una cosa che aveva aiutato tantissimo noi infermieri era stato far scrivere ai nostri pazienti che alla fine di marzo cominciavano a guarire la risposta ad alcune domande: “Cosa hai provato quando ti hanno fatto la diagnosi di Covid? Quale è stato il periodo più brutto? Che cosa porti con te di questo periodo?”  Per noi che in quel momento non ne potevamo più perché eravamo distrutti quello era stato un aiuto.

Uno dei pensieri che mi rimane ancora è questo: "Chi fa un lavoro di cura verso chi cura?" 

Quando sono arrivata ad Alzano nel luglio del 2020 ho trovato le mie infermiere a terra e mi è sembrato che il primo lavoro urgente che dovevo fare partiva da questa evidenza: c'è bisogno che io abbia cura del loro dolore come del mio.

Sostenere la fatica di chi cura è un altro modo di prendersi cura. 

 

Claudio: 

in questo periodo i miei pazienti sono in allarme perché hanno saputo che sono finito in ospedale. Io ero un mito per loro perché non mi ammalavo mai e adesso sono loro che si prendono cura di me.  Dato che sono da 43 anni il loro medico di base e siamo come una grande famiglia, io non ho tenuto nascosto nulla e loro adesso si prendono cura di me. Il rapporto tra il medico e il paziente tendenzialmente è asimmetrico, invece in questo caso si è ribaltato e sono loro che ti dicono: "In bocca al lupo". Anzi, qualcuno sembra quasi "contento" che sei malato, nel senso che ti sente di più come uno di loro. Lo dico perché nelle cure palliative qualche volta i bambini malati proteggono i loro genitori. Un medico ci ha raccontato di un bambino che era riuscito a morire quando i suoi genitori erano andati al bar, altrimenti non ce la faceva a morire. Perché qualche volta chi è malato si prende anche un po' cura di te.

Quando tu Nella dici: "ci vuole chi si prende cura del curante" a cosa pensi?

 

Serenella:

Io penso che nella vita delle persone che si prendono cura a volte ci sono degli spazi della loro vita familiare che non hanno più e allora ognuno risponde al malato per com'è, per come può ma anche per come viene aiutato lui, oppure diventa cinico, va a lavorare perché è un lavoro ma rischia di perdere di vista tutto quello che era stato l'origine della sua scelta. 

Imparare da chi ama.
Dott. Davide Soldini

Un ragazzo, poco più di 20 anni, ha trascorso da noi in reparto alcune settimane per un’infezione polmonare. Era stato operato di un tumore cerebrale con il conseguente danno neurologico di essere semi paralizzato, impossibilitato a mangiare e di respirare autonomamente. Eppure si lasciava fare tutto quello che era necessario per lavarlo, nutrirlo, aspirarlo, si lasciava pungere per i prelievi, tutto con docilità, senza mai un lamento, senza essere arrabbiato con la vita. Durante tutto il ricovero al suo fianco c’è sempre stata sua madre ad assisterlo, ed è lei che ci ha aiutato, dando consigli, soprattutto agli infermieri, su come trattare suo figlio. Ho imparato da lei che la cura della persona passa anche e soprattutto attraverso chi è più vicino al malato.

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