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In punta di piedi.
Dialogo con il dott. Bulla

Dal Video della Associazione “Il passo” 2016


Sette risposte del Dott. Claudio Bulla in dialogo con un’aspirante volontaria.

1. L’ Associazione “Il passo” è una bella avventura. La sua nascita non è un'idea presa a tavolino, ma è un fatto che è capitato nel 2006 ma che di fatto ha iniziato a prendere forma nel 2005 da un incontro tra me e un sacerdote di San Gervasio, don Alberto, che in forma molto “laica”, non pietistica, si prendeva cura delle persone e che lavorava con i bambini malati di cancro in Pediatria a Bergamo, dove era l'Assistente spirituale della Associazione “I bambini della Pediatria”. Io ero un medico di famiglia da ormai 30 anni, accompagnavo molte famiglie e vedevo nascere e morire parecchie persone ed era un’esperienza che mi coinvolgeva sempre di più. Così, per questo incontro, ci siamo visti una sera con un gruppo di amici, una decina di persone con cui ci siamo trovati a cominciare a parlarne. La nostra avventura è nata così. Il primo anno non c’era ancora l'Associazione e ci siamo guardati in faccia e ci siamo chiariti cosa volevamo fare. Per coinvolgere la popolazione sul tema delle cure palliative abbiamo proposto quattro incontri di sabato mattina a Capriate e con grandissimo nostro stupore più di 100 persone hanno partecipato al primo incontro e a quelli successivi. E’ stato l’incontro tra un gruppo di persone che già viveva questa “commozione” (io la chiamo così), per l’esperienza singolare e bella di poter stare accanto a qualcuno che sta terminando la propria vita. E’ un momento molto particolare quello del termine della propria vita e chi sta vicino a qualcuno che termina la vita si rispecchia facilmente in questa persona e non può non guardare a sé nella prospettiva anche dalla propria fine. Questo genera sicuramente dolore e istintivamente genera un po' di distacco, però potere ogni tanto guardare e rispecchiarsi in un'altra persona che sta morendo getta luce sulla tua vita, la ridimensiona, ti senti all’interno di un’esperienza e di una storia che è più grande di te e dà anche una verità a quello che tu stai facendo, mentre noi durante la vita normale dimentichiamo chi siamo e dove andiamo, dimentichiamo e viviamo alla superficie delle cose. Quando io sto con i miei malati, stando loro vicino e seguendoli fino all’ultimo respiro come è anche l’esperienza di chi lo ha provato con un proprio genitore o con un proprio figlio o con un proprio amico…) sperimento che l’esperienza di dolore è anche il ridimensionamento di tante cose a cui normalmente non pensiamo. L’uomo dimentica, mentre questa è un'occasione fondamentale per non dimenticare la domanda di senso che c’è dentro le persone.

2. L’obiettivo principale era di favorire le iniziative finalizzate a prendersi cura di malati con una malattia in fase avanzata, oncologica o non oncologica, preferibilmente a domicilio. Siamo partiti con l’idea di aiutare le famiglie nelle loro case prendendoci cura di loro fino al termine naturale della vita del malato. Questo fatto del “termine naturale” lo abbiamo molto discusso per sbarazzare subito dagli equivoci sulla eutanasia oppure no. Noi ci mettiamo accanto alle persone cercando di essere utili a loro né accanendosi a tutti i costi perché possano continuare a vivere né nello stesso tempo senza abbandonarli. L’obiettivo principale era quello dell'assistenza, dell’aiuto, dell’ accompagnamento nella vicinanza, magari con piccole azioni pratiche come aiutare ad andare dal medico a prendere le ricette, far compagnia al malato mentre il coniuge esce per qualche impegno particolare…Tutte queste azioni pratiche quasi come pretesto per iniziare una relazione con la famiglia e col malato, perché uno non riesce a morire se non dentro una relazione. Il professor Lizzola che era venuto in questo periodo per i nostri incontri ci aveva fatto capire che noi nasciamo dentro una relazione e noi terminiamo in questa relazione. L’uomo da solo non riesce a fare questo passaggio o lo fa con molto più dolore, per cui il volontario è una possibilità di relazione con la famiglia e con la persona che morirà. Siamo partiti solo per questo e solo con questo intento.

3. Ci siamo accorti dell’esigenza delle famiglie di avere degli ausili e allora abbiamo cominciato ad acquistare con i primi fondi che avevamo raccolto letti, carrozzine, materassi antidecubito e tutto ciò che poteva servire nella assistenza domiciliare. Io ricordo benissimo il signor Giuseppe che era stato dimesso dall’ospedale il venerdì pomeriggio e quindi non c'era la possibilità per i suoi familiari di andare subito all’ASL ed avere degli ausili; vennero a cercarci e nel giro di un'ora gli abbiamo fatto avere un letto con un materasso antidecubito. Il malato morì poi in quel weekend e la famiglia ci ringraziò molto di questo aiuto perché per un malato, anche che siano le ultime ore di vita, è estremamente importante poter essere assistito e accudito nel modo migliore. Abbiamo veramente tante richieste, noi lasciamo gli ausili in comodato d’uso gratuito. Evidentemente abbiamo cercato di mettere un limite - non oltre i tre mesi - perché capitava che poi uno che aveva quello che gli serviva non ne faceva più domanda. Noi dobbiamo riuscire a riempire il periodo del tempo tra la richiesta all’ASL degli ausili a quando questa li riesce a fornire alla famiglia. E questo è uno dei servizi uno dei servizi più utili che facciamo. In seguito ci siamo accorti che era il momento di aiutare le famiglie anche su tante pratiche amministrative (ad esempio come fare per inoltrare una pratica di invalidità o per poter avere l’esenzione del ticket…), tutta una serie di difficoltà che si viene chiamata “sofferenza burocratica”. Quando c’è già tantissima sofferenza all’interno di una famiglia e si aggiunge questo molti non sanno come fare o dove andare, così abbiamo aperto uno sportello: tutti i sabato mattina a turno c'erano dei volontari presenti che aiutavano per esempio a istruire la pratica necessaria. Poi la cosa è cresciuta e siamo entrati in contatto con il Dottor D’Alessio che era l’oncologo di Zingonia e abbiamo aperto anche lì uno sportello d’aiuto che si chiama: "Più Aiuto”, gestito dai nostri volontari. Mentre il malato è ricoverato la famiglia ha il tempo di accedere allo sportello e di chiedere un aiuto su cose per le quali non sa dove trovare la soluzione. Anche questa è una cosa che è cresciuta nel tempo.

4. Il volontariato de “Il passo” è una persona che vuole correre il rischio di stare in una situazione difficile. Le persone che provengono dalla società civile non sono necessariamente cristiane, c’è chi ha fede e chi non ha fede, ma sono tutte persone commosse tanto da rischiare di stare vicino alla sofferenza perché ne traggono un beneficio per sé. Sono prevalentemente donne, ma in questi anni abbiamo avuto anche parecchi uomini che hanno questa dote naturale, che è una dote femminile ma che fa parte anche di molte persone, che è quella del prendersi cura della persona fragile, e hanno per la maggior parte un’età media tra i 45 e i 60 'anni (con qualche eccezione), alcune sono casalinghe, altre sono professioniste, abbiamo avuto una volontaria che era una dirigente, abbiamo degli imprenditori, degli impiegati e degli operai: sono persone che rappresentano in qualche modo la società civile. Queste persone le abbiamo orientate su due aree: l’area del fare e l’area dello stare (i volontari dello stare sono quelli che hanno questa dote di essere in grado di stare vicino, a contatto con la sofferenza, di fare un accompagnamento). Ci sono poi i volontari del fare, che danno il loro tempo per costruire: la segreteria, la logistica, quelli del gruppo eventi e quelli del magazzino ausili, quelli dello sportello sociale (anche se stanno anche loro vicino al dolore) e ci sono quelli della comunicazione, quelli che si occupano della preparazione delle locandine, della newsletter periodica che periodicamente raggiunge un migliaio di persone per via posta elettronica. Poi ci sono i volontari dello stare, che hanno un ruolo molto delicato, che sono selezionati e mensilmente fanno un incontro di supervisione con lo psicologo perché qualche volta portano con sé la sofferenza che incontrano e qualche volta vengono fermati. A volte capita di avere un figlio o un padre o una madre che si ammalano di un tumore e allora è bene che si fermino un attimo nell’assistenza perché questo potrebbe generare più affanno. C’è chi desidera subito fare il volontario e mettersi alla prova allora deve fare un colloquio con lo psicologo per poter partecipare al corso di formazione che noi chiamiamo scuola di formazione: sono 20 ore teoriche e 20 ore di tirocinio. Al termine di queste 40 ore c’è ancora un colloquio con lo psicologo ed è capitato e capiterà ancora che alcune persone dopo aver fatto 40 ore di scuola si sentano dire: non è idoneo, se vuole lo orientiamo su altri settori dell'Associazione.

5. Quelli che vengono accettati e iniziano a lavorare innanzitutto vengono affiancati da un altro volontario senior. Non esiste una stessa distanza di sicurezza uguale per tutti, anzi la distanza non è sempre neanche uguale per la stessa persona. Questo è un mio parere che non è psicologico: è la consapevolezza che una persona quando è di fronte a una persona che sta morendo sa che c'è un destino comune e che è il destino comune che permette di provare una simpatia, una “empatia”, una vicinanza che io chiamo “vicinanza di sicurezza”. La capacità di stare non nasce dalla fede, nasce dal cuore dell'uomo. La fede può diventare un aiuto perché ti fa guardare l'altro più facilmente come compagno del tuo destino, però non necessariamente, è più importante il cuore della persona che incontra una persona che soffre, quindi non abbiamo mai voluto dare questo tipo di connotazione.

6. In genere noi siamo chiamati dalla famiglia, non è una iniziativa nostra di entrare, anche nell’Hospice dove il malato è ospitato all'interno di una struttura, il volontario entra soltanto se la famiglia è d’accordo, altrimenti un volontario non entra nelle camere. La caratteristica su cui insistiamo molto nella formazione è quella dell'entrare veramente in punta di piedi, non solo nelle case, ma anche nelle case vogliamo entrare nel rapporto con la famiglia in punta di piedi, perché in genere si pensa che durante l’assistenza ci sia bisogno del medico e dell’infermiere, mentre non si pensa che il volontario sia una figura importante. Una volta che una persona mi ha detto: “Ricordati che per noi che accompagniamo e vediamo tante persone che muoiono rischiano di essere tutte uguali, per loro invece è un evento unico nella vita. Perdere la moglie o il marito o un proprio caro è un evento unico, quindi chiede il rispetto da parte di te che ti avvicini come se fosse un evento unico della vita anche per te, perché altrimenti il rischio è quello che entri nelle case ed incominci ad applicare uno schema che tu hai imparato e che hai vissuto tante volte, senza quell’ ascolto, quel silenzio, quel rispetto e quell'attenzione di cui ha assolutamente diritto quella persona e quella famiglia. Per cui noi ci offriamo piuttosto che imporci. Se l'atteggiamento del volontario è questo, in genere è molto gradito dalla famiglia e dalla persona che muore.

7. Volontaria: Ha mai pensato che in un tempo lontano lei potrebbe aver bisogno dei volontari del Passo? Dr. Claudio Bulla: Mamma mia che domanda! No, non l'ho pensato. Ho pensato certamente al fatto di dover morire. Quello che desidererei in quel momento è una relazione, sono delle relazioni significative, che poi siano i volontari del Passo, con cui peraltro in questi anni abbiamo costruito delle belle relazioni, o qualcun altro, uno non riesce a morire se non dentro a una relazione amorosa. Per questo se dovessi pensare a me, quando penso alla mia morte penso di voler avere accanto qualcuno che mi vuol bene e qualcuno a cui io voglio bene. Io ho sentito racconti di persone che muoiono insieme ai loro figli: ecco, se dovessi pensare a qualcosa penserei a quello. Pur nella sofferenza però con una relazione amorosa significativa vicino, questa mi aiuterebbe molto.

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