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Testimonianza dott. Daniele Martinelli
Associazione per l'Aiuto al Neonato

“ Ho sempre pensato che la prima carità che l’ammalato deve avere dal medico è la carità della scienza. E’ la carità di essere curato come va. Senza di questo è inutile parlare delle altre carità. Senza di questo si fa del paternalismo e del pietismo soltanto.“ La prima carità al malato è la scienza Giancarlo Rastelli, Un cardiochirurgo appassionato all’uomo La scienza medica è in continua e rapida evoluzione e internet ti consente, in tempo reale, di accedere a fiumi di letteratura. Lo sanno bene i giovani medici e gli specializzandi, “nativi digitali”, che sembra non considerino più i classici libri fondamentali per la loro professione. La sola pratica nella professione medica, ovviamente indispensabile, non consente l’approccio migliore al malato; studio e aggiornamento continuo sono per il medico un obbligo morale verso i pazienti. Per garantire ad un bambino prematuro il massimo delle possibilità di sopravvivenza con il minor rischio di complicanze a breve e lungo termine, è fondamentale prestargli una assistenza specialistica immediata nel primo minuto ( “golden minute”) e in generale nella prima ora ( “golden hour”) dopo la nascita. Il primo minuto di vita rappresenta, con ogni probabilità, il momento più pericoloso che ogni essere umano deve affrontare durante la propria esistenza ed è definito “minuto d’oro” (golden minute) proprio per sottolineare l’importanza di questa delicata fase, durante la quale devono avvenire determinati processi fisiologici che consentono il passaggio dalla vita fetale a quella postnatale. Tanto più piccolo è il neonato, perché più prematura la sua nascita, tanto più sarà delicata e complessa questa fase di “transizione”, rendendo necessarie in sala parto complesse procedure di assistenza da affidare ad un personale altamente qualificato ed esperto nella rianimazione neonatale. Posizionare correttamente e rapidamente un tubo di calibro molto piccolo nella laringe di un neonato di peso molto spesso inferiore al chilogrammo per iniziare la necessaria assistenza respiratoria, non è cosa facile e tale “delicata” manovra rappresenta solo l’inizio delle complesse procedure assistenziali che caratterizzano le successive cure intensive al neonato. Per questo, in terapia intensiva neonatale (TIN), ogni giorno di assistenza dovrebbe essere considerato “d’oro”. Medici ed infermieri nella TIN dispongono oggi di strumenti di assistenza e di monitoraggio di alta tecnologia, che consentono la sopravvivenza anche di pazienti molto prematuri; apparecchi meravigliosi come i ventilatori meccanici, ma di non facile gestione e non privi di potenziali complicanze e di “effetti collaterali”, anche quando gestiti al meglio su questi pazienti così “fragili”. Il neonatologo è ben consapevole dell’alto rischio di complicanze emorragiche e ischemiche, anche molto gravi, che possono colpire il cervello dei neonati prematuri, specie nei primi giorni di degenza in terapia intensiva. Sono le età gestazionali più basse, le prematurità “ estreme” (i nati da gravidanze che si interrompono a poco più, ma anche a meno del sesto mese ), quelle che espongono i neonati ai rischi più gravi e, in neonatologia, da tempo si dibatte su quando sia eticamente “giusto” intraprendere le cure intensive in questi pazienti. “Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro ( che è privilegio di pochi ) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono “ Primo Levi ( La chiave a stella ) In Patologia Neonatale sono molti i momenti belli e gratificanti. Uno di questi è quello in cui il neonato, anche se ancora molto piccolo, può lasciare la terapia intensiva. Il neonato, ora in Terapia Subintensiva, avrà ancora bisogno di molte cure ed i rischi non sono finiti, ma è diventato capace di respirare da solo o supportato da strumenti meno “ invasivi”, come semplici piccole cannule nasali per erogare basse concentrazioni di ossigeno. Anche la natura delle comunicazioni giornaliere ai genitori del piccolo è diversa e non porta più il carico di ansia di prima, ma soprattutto, ci sarà per la mamma la possibilità ( solo sperimentata per pochi momenti anche in TIN ) di tenere in braccio il suo bambino e non solo di guardarlo attraverso la parete di una termoculla, ….perché ancora collegato a troppi fili e tubicini. La dimissione dei bambini è il momento della “seconda nascita”, tanto atteso dai genitori, ma anche da tutto il personale del reparto. Quando tutto è andato bene, le numerose ecografie non hanno documentato complicanze cerebrali e la risonanza magnetica ha confermato tali riscontri, senti di potere e di “dovere” rispondere in termini rassicuranti alla normale domanda dei genitori sul futuro del loro bambino. A volte “non va cosi “. Il piccolo “ce l’ha fatta“ e può andare a casa, ma il suo decorso clinico, spesso molto lungo e costellato di gravi complicanze, può avere lasciato delle sequele, magari documentate come gravi ed irreversibili dagli esami di immagine del cervello. Il neonato alla dimissione appare “bello”, ma c’è la consapevolezza che il suo sviluppo nel tempo potrebbe rivelare dei deficit neurologici invalidanti. La comunicazione ai genitori, che ha già ha avuto momenti carichi di ansia durante la degenza, ti risulta difficile anche al momento della dimissione dall’ospedale; …….. senti che, quando possibile, il ritorno a casa del bambino non deve interrompere il tuo rapporto con la famiglia, …… e speri che il tempo ti possa smentire. Ma i sommi sacerdoti e gli scribi vedendo le meraviglie che faceva e fanciulli che acclamavano nel tempio “osanna al figlio di Davide “, si sdegnarono e gli dissero “ non senti quello che dicono ? “. Gesù rispose loro: ”si, non avete mai letto: dalla bocca dei bambini e dei lattanti ti sei procurata una lode ?” Matteo 21, 15-16 … non potrò essere presente alla nascita del primogenito di M., ma in sala parto ci sarà il dott. Paolo Bianchi, mio amatissimo “maestro” nei primi anni della professione, che con la sua disponibilità di sempre, presterà la sua abilità fotografica per immortalare l’evento. Entrambi ci ricordiamo bene di M., nata 26 anni fa al sesto mese di gestazione con il peso di poco più di 800 grammi; ricordiamo bene i suoi problemi in terapia intensiva, collegati alla sua prematurità complicata da una anomalia all’aorta ( il grande vaso arterioso che esce dal cuore sinistro e porta il sangue ossigenato a tutti gli organi). Poi, raggiunto il peso di 1600g e alla vigilia del Natale di quell’anno, la correzione chirurgica di quella grave anomalia affidata alle abilissime mani del dott. Locatelli, allora primario della Chirurgia Pediatrica dell’ospedale di Bergamo. Per questo, quando la mamma di M. dopo tanti anni mi ha telefonato, ho sentito piacevolmente ricostruirsi con lei la complicità di un tempo e ho avvisato subito il dott. Bianchi. Il bambino di M. è nato a termine, da taglio cesareo come programmato, ….. è bello e sano! Il giorno dopo io e Paolo siamo andati a salutare M. anche perché siamo riusciti a recuperare la rivista che riporta gli atti del congresso dei neonatologi lombardi tenutosi nell’anno della sua nascita (nel quale avevamo descritto il suo caso clinico così complesso) che vogliamo lasciarle in regalo. M. mi è parsa tanto giovane, intimidita e un poco spaventata, forse dalla nostra invadente e rinnovata esuberanza di un tempo o forse per il primo approccio timoroso al suo bambino. Si è prestata a farsi fotografare con noi con in braccio il suo piccolo e abbiamo potuto conoscere e fare i complimenti anche al neo papà, anche lui molto giovane, altrettanto timido e riservato. A poco meno di un mese dalla nascita M. mi ha mandato via WhatsApp una fotografia che la ritrae mentre guarda da molto vicino il suo bambino, accompagnata da queste parole: “Buona sera dottore. Volevo condividere con lei questa foto. In questo scatto c’è racchiuso tutto l’Amore del mondo. Grazie “ Il mio grazie, pieno di affetto e riconoscenza, è per la dott.sa Mangili, Dirigente della Unità di Patologia Neonatale dell’Ospedale Giovanni XXIII di Bergamo e per tutti i miei colleghi e colleghe medici e infermieri con i quali ho condiviso anni indimenticabili. Daniele Martinelli

«Bianca, un fiore
sbocciato grazie
a mani e cuori d’oro»

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Una Bianca Margherita

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Un vero medico.
Takashi Paolo Nagai

Takashi Nagai descrive così il suo sguardo sul malato: “Un vero medico soffre con ciascuno dei suoi pazienti. Se il paziente ha paura di morire, anche il medico ha paura. Quando il malato finalmente guarisce e dice grazie, anche il medico risponde grazie. Se il tuo paziente è un vecchio, trattalo come fosse tuo padre; se è un bambino, come fosse tuo figlio. Ogni paziente diventa tuo fratello, tua sorella, tua madre e tu sei tutto per lui. Guardi e riguardi con ansia quegli esami e quei raggi, mediti sulla cartella clinica, non lasci nulla di intentato. Come sbagliavo quando, appena laureato, credevo che la pratica medica fosse una questione di tecnica! Come se il medico fosse il meccanico di quella macchina che si chiama corpo! No, un medico deve essere una persona che sente nel proprio corpo e nel proprio spirito ciò che il malato soffre nel corpo e nello spirito. Sono arrivato a capire che la medicina è una vocazione, una chiamata personale da parte di Dio, il che significa che esaminare un paziente, fargli i raggi o fargli un’iniezione è parte del Regno di Dio. Quando me ne sono reso conto, mi sono scoperto a pregare per ciascuno dei miei malati”.

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