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Curare, la prima carita'

La medicina cerca di alleviare la sofferenza e la malattia. Un impegno appassionato che ha portato a terapie e tecnologie impensabili solo alcuni anni fa.

La scienza e la tecnica non sono l’opposto della carità, esprimono la compassione per i più fragili. In tempi ordinari, Bergamo ha scritto la storia della medicina e della ricerca. Nella pandemia che ha frustato questa terra, moltissimi sanitari hanno riscoperto la loro professione come vocazione e sacrificio. In loro il Covid ha lasciato una ferita che non si rimargina, ma rende capaci di una tenerezza verso i malati, forse prima sopita. Lo sanno bene le famiglie, anche arrivate da lontano, passate per la Patologia neonatale dell’Ospedale di Bergamo, uno dei luoghi in cui progresso e amore s’incoraggiano a vicenda.

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Reparto di Neonatologia, Ospedale Papa Giovanni XXIII, Bergamo

«Ho sempre pensato che la prima carità che l’ammalato deve avere dal medico è la carità della scienza.
È la carità di essere curato come va.
Senza questo è inutile parlare delle altre carità.
Senza questo si fa del paternalismo e del pietismo soltanto».

Dal libro

La prima carità al malato è la scienza Giancarlo Rastelli. Un cardiochirurgo appassionato all’uomo

«Un vero medico soffre con ciascuno dei suoi pazienti. Guardi e riguardi con ansia quegli esami, mediti sulla cartella clinica, non lasci nulla di intentato. Un medico deve essere una persona che sente nel proprio corpo e nel proprio spirito ciò che il malato soffre nel corpo e nello spirito».

Takashi Paolo Nagai,

medico e scrittore

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